L’importanza del matrimonio nella società giapponese
Come molte altre culture nel mondo, il Giappone riserva un ruolo assai importante alla continuazione della linea genealogica di derivazione maschile. Seppur con le dovute eccezioni e considerando i massicci mutamenti a cui la struttura tradizionale della società e della famiglia giapponese è andata incontro dal dopoguerra in poi, tutt’oggi gli studiosi di sociologia concordano nel riconoscere grande importanza al concetto di “primogenito maschio” e “continuità lineare della famiglia”. In questo contesto culturale l’importanza del matrimonio gioca un ruolo fondamentale e, inevitabilmente, rappresenta per gli omosessuali giapponesi un ostacolo arduo da superare o aggirare. Una dinamica a cui soccombere in mancanza di altre opzioni al di fuori del coming out pubblico o di altre soluzioni ben più drastiche quali anche il suicidio. Da qui l’esigenza di torvare una scappatoia, nei matrimoni di facciata.
Attualmente il Giappone si sta aprendo a stili di vita più diversificati, e la singletudine, così come l’omosessualità, stanno diventando scelte sempre più comuni e accettate anche a livello sociale. Tuttavia, fino a tempi recentissimi, una buona fetta della popolazione omosessuale avrebbe abbracciato l’alternativa dei matrimoni di facciata pur di seguire alla lettera il copione. Cedere alle obbligazioni sociali e optare per i matrimoni etero-normativo di facciata equivale a sofferenza. D’altronde, non sposarsi affatto equivarrebbe a infrangere una serie di responsabilità sociali nei confronti dei propri genitori e della società in senso ampio, che con ogni probabilità avrebbero potuto condurre all’isolamento dell’individuo in società. In alcune aree del Paese, questa scelta è ancora praticata a tutt’oggi.
Una fitta rete di norme sociali uniformanti
La società giapponese non è particolarmente nota per gli atti di violenza fisica. Se di “violenza” si può parlare, non è da intendersi nella forma di un’aggressione fisica bensì in una più sottile forma psicologica. La società in Giappone impone agli individui rigidi schemi comportamentali costituiti da doveri e obblighi nei confronti dell’Altro. Queste obbligazioni si intrecciano vicendevolmente in una rete fitta di relazioni particolarmente vincolate e vincolanti, e chi non fosse in grado di rispondere alle aspettative potrebbe pagarne lo scotto con l’esclusione dalla vita sociale attiva. Al fine di mantenere l’armonia della società, lo status quo all’interno del Paese, l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità fino all’inizio degli anni ’80 circa è stato caratterizzato dalla pressocché totale indiffferenza. Una sorta di negazione della sua presenza, che rimaneva ad ogni modo in sordina anche per interesse degli omosessuali stessi.
Per evitare confronti aperti e attriti sul piano dell’ordine pubblico la società sceglie una strategia in base alla quale non sussistono incongruenze. Lo stile di vita “corretto” rimane tale, e altri eventuali stili di vita considerati meno legittimi e “goliardici” devono essere gestiti diversamente. Ci si deve assicurare che l’eventuale incongruenza, il “problema”, rimanga relegato all’interno degli appositi confini ad esso preposti. Questi confini, sia fisici che astratti, sono rappresentati dai quarteri dell’intrattenimento gay come il quartiere di Nichōme a Shinjuku,o dall’immagine sostanzialmente stereotipata dell’omosessualità diffusa dai mezzi di comunicazione.
L’omosessualità negli anni ’70 e i matrimoni di facciata
La posizione predominante nel Giappone degli anni ’70 era quella di un “silenzio assenso” tra le autorità pubbliche, gli organi di censura e i dipartimenti interposti. Di comune accordo facevano del loro meglio per insabbiare la presenza pubblica dell’omosessualità, e addirittura la stessa comunità omosessuale preferiva di gran lunga una situazione di calma apparente in cui poter sfogare le proprie passioni in tranquillità relegandole a una dimensione rigorosamente privata senza dare in alcun modo nell’occhio.
Per tutte queste ragioni, erano e sono tutt’ora parecchi i casi di matrimoni di facciata volti a soddisfare l’immagine di superficie. Anche il desiderio di una famiglia con dei figli contribuì a incentivare questo meccanismo. In alcuni casi gli uomini gay, che si trattasse di un matrimonio combinato o meno, finivano per sposarsi con donne per lo più ignare delle preferenze di questi ultimi. Questa situazione ovviamente finiva per generare insoddisfazione e depressione tanto negli uomini che nelle malcapitate. Molti omosessuali ne erano consapevoli. Per risparmiare quelle donne innocenti da una vita di sofferenza e mediocrità, cercarono di ingegnarsi per trovare una scappatoia.
Barazoku e la rubrica “L’angolo del matrimonio”
La soluzione arrivò grazie all’intervento di Barazoku, la prima rivista del Giappone rivolta esclusivamente a un pubblico omosessuale fondata nel 1971. Sin dai primi anni di vita di Barazoku iniziarono a pervenire presso la casa editrice richieste sia da parte di lettori gay sia di lettrici lesbiche, affinché si potesse entrare in contatto con una persona del sesso opposto. Inscenare matrimoni di facciata avrebbe permesso di adempiere al protocollo imposto dalla società senza tuttavia assumersi il peso di una relazione “reale” che implicasse rapporti sessuali indesiderati e una forzata affettività. In questo modo la Tribù delle Rose avrebbe potuto salvare le apparenze e al tempo stesso condurre una vita semi-libera evitando di coinvolgere individui innocenti. Fu così che nel 1981 si inaugurò sulle pagine di Barazoku il kekkon kōnā 結婚コーナー (L’angolo del matrimonio.
Alcuni degli annunci che si leggono nel kekkon kōnā del numero di aprile del 1981:
Da un po’ di tempo sono afflitto dalla questione del matrimonio. Se qualcuno mi comprende, se qualche ragazza è in difficoltà per lo stesso problema o se avete un’amica del genere, per favore scrivetemi. Che ne dici di impegnarci e costruire, noi due, una famiglia solare in cui si possa parlare liberamente di qualsiasi argomento? 174 x 67, sono un libero professionista di 32 anni, solare e dotato di senso dell’umorismo.
Ōsaka, Moriguchi – Matrimonio
Il Pride Month sta per giungere al termine, ma continuate a seguirmi per tanti altri spaccati di cultura LGBT in Giappone. Inoltre vi annuncio che alla fine di giugno, con la conclusione di questo mini progetto, ci sarà una sorpresa per voi (spero gradita!).
A presto!
Ciao!
Avevo sentito parlare di questa cosa dei matrimoni di facciata (anche da noi in Italia, ma cosa alquanto rara); ignoravo che in Giappone fosse e sia una pratica così diffusa. Da una parte, tanto di cappello alla rivista che ha permesso a questi infelici di quietare le pressioni sociali della famiglia e della società (e delle aziende, vorrei dire… è ancora una pratica quella di presentare ai propri impiegati fidanzati/fidanzate per accasarli? L’omiai so che è ancora molto diffuso, purtroppo…); dall’altra… fa ovviamente rabbia che si debbano trovare escamotage simili per trovare la felicità. Come avevi accennato in un altro articolo (se la mia memoria non fa scherzi) una legge come la nostra Cirinnà è lungi dall’essere approvata.
Ma il fatto di voler negare l’esistenza di queste fasce di popolazione non è cosa affatto nuova per il governo giapponese… d’altronde, i burakumin, anche se legalmente equiparati al resto della popolazione, in pratica subiscono ancora pesantemente discriminazione.
A livello di movimenti lgbt, manifestazioni e quant’altro come si muovono i giapponesi?
Comunque grazie per il bell’approfondimento^^
Ciao Angelica! Sì, ricordi bene. Ad oggi non esiste un decreto per congiungere in un’unione legalmente valida due persone dello stesso sesso. Solo dei riconoscimenti simbolici. Il ruolo della rivista Barazoku è di capitale importanza per la formazione di una comunità omosessuale in Giappone, on solo in questo caso ma in molti altri di cui parlerò ovviamente ancora, un po’ per volta (le cose sono tante!). Ma il tutto va anche contestualizzato: la rivista è stata fondata nel 1971 e il la rubrica dei metrimoni è iniziata verso il 1980. Inutile dirlo, altri tempi (specialmente in Giappone, dove l’ondata di rivalsa della comunità LGBT è in ritardo di una 20ina di anni rispetto all’Occidente). Oggi, chiaramente, ci sembra inaccettabile. Eppure succede ancora in minima parte, e lo so per certo. Oggi non si cerca più di “negare” l’esistenza della comunità LGBT perché non è più possibile: i giapponesi stessi sono usciti allo scoperto, pian piano, rinunciando all’invisibilità e adesso la società deve fare i conti anche con questa diversità. I giapponesi hanno fondato i loro gruppi e associazioni e si muovono per rivendicare i diritti, fare informazione, ribadire la loro esistenza. Ma questa cosa non è da dare per scontata: ci sono molti omosessuali, soprattutto della provincia e di una generazione addietro, che ancora pensano sia meglio rimanere “chiusi”, in una bolla ovattata. Le cose stanno mutando, la macchina è stata messa in moto, ma a ritmi ancora piuttosto lenti.
Ciao!
Grazie per la risposta.
Immagino che se la pressione sociale è così forte per tutti (omosessuali e non) la strada da percorrere sia ancora lunga.
Smontare l’obbligo del matrimonio, del far figli e trovare ‘normale’ (dio, che brutta parola) che uno non si sposi… che conviva… che non faccia figli… che faccia quel che gli pare… deve venire prima o, almeno, in concomitanza con un’apertura anche per la comunità LGBTQ.
Se penso un po’ alla storia e alla cultura giapponese, un cambiamento radicale e improvviso è molto difficile da digerire (magari fosse facile). Certo è che chi non si trova dall’altra parte (diciamo così) non sente la pressione di muoversi per un cambiamento che necessita ancora eoni senza un ‘far nulla’ di concreto.
Si spera che l’opinione pubblica apra gli occhi al più presto e faccia pressione.
Per quanto riguarda la questione “gente di provincia”, gratta gratta anche qui in Italia, legge Cirinnà o meno, non è che ce la si passi benissimo. E’ la scorza più dura contro cui si deve lottare (e quella più ignorante, purtroppo).
Attendo nuovi articoli sull’argomento, è tutto davvero interessante, grazie mille!
Ciao Angelica, grazie per la risposta. Sì, la pressione sociale è molto forte in Giappone, per numerosi aspetti, e il matrimonio è sicuramente uno di questi per ragioni legate alla tradizione. Ovviamente, non si tratta di un cruccio esclusivo della comunità LGBT, come giustamente sottolinei anche tu. Il Giappone si sta aprendo un po’ alla volta a una plurità di stili di vita, soprattutto nelle grandi città. A Tokyo nessuno ti guarda male se hai 35 anni e sei single, il problema è la famiglia (che quasi sempre è in provincia, come in tutte le grandi metropoli che si rispettino) e di conseguenza il senso di inadeguatezza intrinseco e interiorizzato dal soggetto per l’assimilazione dei modelli culturali. Volente o nolente, ad ogni modo, credo che anche il Giappone stia seguendo un trend internazionale che porterà a maggior flessibilità.